Start-up, l’Italia rifiuta il progetto e l’America lo accoglie investendo 2 milioni di dollari

Rifiutati dal bando Smart&Start, due ragazzi catanesi si sono rivolti agli imprenditori americani, che in pochi mesi hanno finanziato l’idea e costruito una start-up da 2 milioni di dollari. Ora C3DNA, un progetto basato sul cloud computing, ha una sede legale in California e una operativa a Catania.

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“Il progetto è troppo rischioso, non possiamo investirci”. Una frase che le nuove start-up si sentono ripetere spesso, i loro sono progetti troppo difficili da attuare, troppo innovativi. E le porte del finanziamento si chiudono in faccia ai futuri imprenditori. La storia di Giovanni Morana e Daniele Zito, rispettivamente di 37 e 34 anni, non si conclude però qui, ma in America, dove un “Angel” – in gergo, un finanziatore privato – ha creduto nella loro idea e ha investito due milioni di dollari.
Ora il progetto – C3DNA, basato sul cloud computing – è volato via, verso Santa Clara in California, mentre in Italia resta solo la sede operativa di Catania. La crescita e i guadagni di un’idea italiana, però, saranno tutti americani. Perché il nostro paese l’ha cacciata in malo modo. I riconoscimenti della comunità scientifica non sono serviti a nulla, nemmeno i 4 anni di ricerche, le conferenze e i convegni; il bando Smart&Start ha rifiutato l’idea e per i due giovani imprenditori non c’è stato più niente da fare. “Non ci avevano capito niente. Abbiamo chiesto più volte di parlare con dei tecnici più preparati, ma non ci hanno ascoltati” ha spiegato Zito.

Una volta esportato il progetto in America, invece, Morana e Zito sono stati in grado di dare subito vita a C3DNA creando un centro ricerche, grazie soprattutto a Paul Camacho, un imprenditore della California volato fino a Catania per conoscere i due brillanti ingegneri. L’inizio di tutto arriva un mese dopo, quando Camacho decidere di credere nell’idea e mette a loro disposizione i fondi iniziali.
E l’Italia? C3DNA ha provato a nascere sotto l’ala delle start-up tecnologiche del bando Smart&Start di Invitalia, il quale offre aiuto economico alle idee più interessanti e mette a disposizione alcune lezioni su come si imposta e gestisce una start-up. “Volevamo crescere qui, creare qualcosa di grosso a Catania. Ma niente, non è servito a nulla. I tecnici di Invitalia dicevano che questo progetto non aveva futuro, che non ci avrebbero mai investito. Che i costi per lo sviluppo erano spropositati” ha continuato Zito “A noi è dispiaciuto, ma chi ha perso in quell’occasione è stata l’Italia. Catania avrebbe avuto un centro assolutamente all’avanguardia sulle tecnologie cloud”.

In America il progetto ha impiegato poche settimane per attirare l’attenzione. In particolare quella di Kumar Malavalli, co-fondatore di un colosso della comunicazione da 2,3 miliardi di dollari all’anno e 4.000 dipendenti. A questo punto arrivano i due milioni di dollari e la sede legale in California. Quella operativa, però, rimane a Catania, perché “abbiamo studiato e siamo cresciuti qui” spiega Zito.
Quella di C3DNA è un’idea tanto semplice quanto geniale: si basa su due delle tecnologie più utilizzate per gestire i dati nel cloud, Dockers e Openstack. La prima permette di racchiudere in “container” siti e applicazioni, rendendone la gestione più facile ed immediata. Il problema è che in questo modo ogni singola applicazione o sito rappresenta un’entità a sé stante, quindi per modificare i diversi elementi bisogna mettere mano ad ogni singolo “contenitore”. Morana e Zito sono riusciti a ribaltare questa situazione, rendendo possibile il dialogo tra questi container e permettendo di gestirli in maniera più flessibile.

“Ciò che ci differenzia dalle grandi università statunitensi è che noi non abbiamo mai una formazione iperspecialistica” ha spiegato Zito “I nostri esami di biologia e di altre materie teoriche ci hanno offerto soluzioni impensabili anche per i supertecnici di Stanford”.
Soluzioni che, quando si parla di cloud, spesso non sono comprensibili da tutti. Ma non per questo meno efficaci. In America questo lo hanno capito e cercano, insieme alle menti creative come i due ragazzi di Catania, di capire come funzionano le cose, ascoltando e facendo domande. In Italia, invece, si chiudono le porte. E così, dalla fuga dei cervelli, siamo passati anche alla fuga delle idee.

 

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