Il parassita che entra dai piedi scalzi (e fa danni a distanza di tempo)

I sintomi che provoca lo «Strongyloides stercoralis» sono vaghi e non gravi: prurito, dolori addominali, disturbi respiratori. Ma se le difese immunitarie sono compromesse,
il parassita prolifera in modo incontrollato e può invadere tutti gli organi e gli apparati

Piedi

 

Un anziano parente dice di aver contratto molti anni fa una parassitosi (strong qualcosa…), scoperta a distanza di anni quando è diventata “pericolosa” in un momento in cui era immunodepresso. Il parassita sarebbe entrato nel suo corpo attraverso la pelle integra: possibile?

Risponde Zeno Bisoffi, direttore Centro Malattie Tropicali, Ospedale Sacro Cuore – Don Calabria di Negrar (Verona)

La malattia è la strongiloidosi e deriva il suo nome dal parassita Strongyloides stercoralis le cui larve microscopiche si trovano nel terreno (contaminato da feci umane e forse anche di cane), e penetrano attraverso la cute anche integra, più frequentemente quella dei piedi, ovviamente se si cammina scalzi. È evidente che con il diffondersi dell’igiene (e l’abitudine alle scarpe) questa infezione diventa sempre più rara, ma è ancora diffusa nei Paesi in via di sviluppo. Si stima che nel mondo vi siano almeno 370 milioni di persone colpite e uno studio dell’agosto 2016, su Eurosurveillance, coordinato dal Centro per le Malattie Tropicali di Negrar-Verona con l’Unità sanitaria locale di Verona, condotto in dieci ospedali di Veneto, Lombardia e Friuli-Venezia Giulia, indica che nel Nord Italia vi sono migliaia di casi di questa parassitosi nella popolazione di età geriatrica. I casi riconosciuti sono la punta di un iceberg, e una volta che la malattia è disseminata è spesso troppo tardi.

Nuove generazioni di larve

Per intervenire efficacemente, bisogna perciò sospettarne l’esistenza per tempo. E qui si intrecciano due ordini di problemi: il fatto che il parassita può effettivamente non dare (quasi) segno di sé per anni e il fatto che l’insegnamento della parassitologia è quasi scomparso dalle nostre Facoltà di medicina. Il parassita perpetua il suo ciclo biologico nell’organismo umano sviluppando nuove “generazioni” di larve che arrivano allo stadio adulto sempre nel corpo umano. In questo modo garantisce la propria sopravvivenza nell’ospite per tutta la vita di quest’ultimo, a meno che non venga riconosciuto e “eliminato”. Tra le strategie di sopravvivenza di un parassita, naturalmente, vi è anche la necessità di non creare troppi danni all’ospite e non farlo morire prematuramente. Strongyloides non fa eccezione e di solito i sintomi che provoca sono vaghi e non gravi: prurito, saltuari dolori addominali, qualche volta disturbi respiratori ricorrenti simili all’asma. Ma se le difese immunitarie dell’ospite sono compromesse, il parassita prolifera in modo incontrollato, e può invadere tutti gli organi e gli apparati: è la cosiddetta «strongiloidosi disseminata», mortale in oltre la metà dei casi.

Ricerca degli anticorpi nel sangue

Non è facile riconoscerla perché i sintomi sono spesso quelli di una sepsi, e raramente si pensa che responsabile possa essere il parassita. Un banale esame di laboratorio, l’emocromo, può indurre al “sospetto” (prima che si sviluppi la forma grave) se si osserva un aumento degli eosinofili, un tipo particolare di globuli bianchi. L’esame delle feci è poco sensibile, meglio la ricerca degli anticorpi nel sangue. Per la cura, il farmaco più indicato è l’ivermectina, un composto con un ampio spettro di indicazioni. È registrato in alcuni paesi dell’Ue tra cui Francia, Olanda e Germania, non in Italia. Invece, un altro farmaco, l’albendazolo, è registrato in Italia anche per questa indicazione, pur essendo poco efficace contro lo Strongyloides. Per trattare correttamente un paziente in Italia, si deve importare l’ivermectina dall’estero per “uso compassionevole”. Il Centro per le Malattie Tropicali di Negrar, Centro Collaboratore OMS (Organizzazione Mondiale per la Sanità) per la strongiloidosi, coordina uno studio clinico internazionale per definire il dosaggio più appropriato dell’ivermectina. L’OMS sta considerando se includere la strongiloidosi nei programmi di trattamento di massa delle parassitosi nei Paesi dove è endemica, utilizzando proprio l’ivermectina.

Fonte:www.corriere.it